Hanno scelto il loro film da premiare anche gli studenti di diverse culture e provenienti da quattro scuole superiori milanesi (CARDUCCI, TENCA, MANZONI E BERTARELLI) coinvolti in una giuria dal COE, fondatore del Festival 28 anni fa, a dimostrare che non è mai troppo presto per formarsi un’opinione su un film ed esprimerla in un giudizio di valore; e hanno assegnato un premio speciale anche alcuni richiedenti asilo ospitati a Barzio, a dimostrare che anche in terra straniera, anche in una condizione in cui tutto sembra precario , il proprio giudizio può contare al punto da poter riconoscere tramite un premio il valore di un film. Perché il Festival del cinema Africano d’Asia e d’America latina, conclusosi il 25 marzo con 60 opere in concorso delle 600 ricevute , 2 sezioni di opere fuori concorso, 3 mostre, un Festival Centre e un Festival OFF nel cuore del “Porta Venezia Social district”, innumerevoli incontri che hanno popolato 7 location milanesi, è anche questo: apertura e accoglienza. “Milano città – mondo – l’ha chiamata Filippo del Corno, assessore alla cultura del Comune di Milano nell’intervista per Milano Etno TV resa al termine della premiazione e che troverete qui (link)- ribadendo lo slogan “Milano si fa in quattro” ( per la simbolica contemporaneità di 4 manifestazioni dedicate all’apertura e alla libertà : il Festival del cinema, il Book Pride, il Festival dei diritti e infine “Fa la cosa Giusta”, il convegno sul consumo equosolidale) e riconoscendo al Festival, ormai alla 28 esima edizione, una vocazione pragmatica e al tempo stesso di speranza. “La visione che ci ispira – commenta Alessandra Speciale – insieme a Annamaria Gallone co-direttrice del Festival – è la stessa che ci ha fatto partire nel 1991. Ai tempi la guerra del Golfo e la presa di posizione dell’Italia aveva fatto nascere molta paura e diffidenza e ci aveva spinto ad organizzare una manifestazione che attraverso la cinematografia africana realizzata da registi africani , totalmente assente nel nostro circuito distributivo, ci restituisse conoscenza e comprensione, nella speranza di avvicinare culture reciprocamente sconosciute e promuovere il dialogo. 28 anni dopo, la diaspora dal continente africano e i conflitti che sconvolgono zone vastissime del Sud del mondo rendono più che mai attuale questa esigenza”. Collaboratrice del Festival al fianco di Annamaria Gallone, che l’ha voluta accanto a sé fin dalla prima edizione, consulente per i maggiori festival del cinema internazionali – Venezia, Locarno e quindi da 5 anni ancora a Venezia come esperta per l’Africa e il Medio Oriente nonché per il workshop Final cut in Venice, regista lei stessa di documentari e promotrice di quella Milano Film Network che mette in rete 7 Festival cinematografici dell’area metropolitana, e infine donna ispirata da un raro equilibrio di lucidità e speranza – Alessandra Speciale, insieme ad Annamaria Gallone e al comitato artistico da alcuni edizioni promuove un allargamento della visuale, dando risalto tramite le opere in e fuori concorso gli aspetti più moderni dei continenti considerati, mettendo in guardia da un clichè etnologico che rischia di non vedere ciò che sta cambiando. “ La scelta di intitolare questa edizione WWW What a wonderfull world e di organizzare la tavola rotonda “Come le nuove tecnologie stanno cambiando l’Africa” – prosegue la Speciale – è sostenuta da una serie di segnali incoraggianti seguiti all’arrivo della banda larga in Africa che sta permettendo soprattutto alle nuove generazioni una emancipazione a tempo di record. Perché citando uno degli speaker intervenuti al dibattito “L’Africa ha perduto la rivoluzione industriale ma non perderà la rivoluzione digitale”. Un segnale piccolo ma significativo: le stesse 600 opere proposte al concorso non sono arrivate a Milano tramite la posta o i corrieri ma sotto forma di 600 link, cosa impensabile solo cinque anni fa. E forse anche la scelta del film vincitore del concorso Comune di Milano Lungometraggi Finestre sul mondo “I’m not a witch”, opera prima della regista zambiana Rungano Nyoni, che descrive con ironia la improbabile trasformazione da bimba normale a strega del villaggio da un giorno all’altro, ha premiato, oltre al talento, anche lo sforzo di affrancarsi da uno scontato documentarismo etno-antropologico. “ Amiamo tutte le opere selezionate – ha commentato Alessandra Speciale – ma l’aver visto assegnare questo premio prestigioso ad una ragazza alla sua prima prova registica, proveniente da un paese come lo Zambia che produce pochissimo, ha dato a questa scelta un valore particolare”- Altrettanto densa di possibili letture la scelta dei richiedenti asilo. Al gruppo dei ragazzi migranti che il COE ospita a Barzio dall’anno scorso viene proposto di giudicare le opere della sezione Extr’A, film realizzati da registi italiani su temi dell’immigrazione così da avere anche il loro punto di vista di “esperti”, loro malgrado. Come si è ricordato in apertura, quest’anno gli ospiti del COE hanno scelto “Abu Salim- Il prezzo della libertà” un corto di Antonio Martino che racconta di una visita al carcere libico in disuso di Abu Salim compiuta da alcuni ex detenuti che rivivono i tremendi giorni della detenzione e il prezzo che hanno pagato per ribellarsi. Ebbene c’è un retroscena non ancora detto che aggiunge alla scelta dei ragazzi una lettura ancora più inquietante . Perché quel carcere in disuso ora in disuso più non è, bensì ospita detenuti che hanno in comune con i nostri richiedenti asilo della giuria solo una parte, si spera, di destino. “Il carcere di Abu Salim – rivela in chiusura Alessandra Speciale – è tornato attivo in questi ultimi mesi non già per detenere i prigionieri politici, bensì per rinchiuderci gli immigrati di ritorno, quelli dei quali non è stata accolta la domanda d’asilo e hanno dovuto tornare “a casa”. Cosi questo festival che si è aperto con Une saison en France, opera di Mahamat Saleh Haroun sui richiedenti asilo, si conclude con una notizia che li riguarda e che noi qui riprendiamo, nella speranza che sapere che il futuro prossimo che incombe sui richiedenti asilo espulsi è quello di “prigionieri” possa ispirare chi qui da noi ne deve disporre e che ora li considera solo “clandestini”. (In foto: I tre richiedenti asilo che hanno assegnato il premio “PROSPETTIVE”. Ph by C.Mazzucco)