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“DESCENDANTS” DI KEDWINE ODOCH: QUANDO LA DANZA TRAMANDA LIBERTA’

Il 15 marzo in scena a Cinisello  la performance del danzatore ugandese Kedwine Odoch che, unendo danza contemporanea, afro e poesia, manda un potente messaggio agli afrodiscendenti. E a tutti noi.

Tanto tempo fa, nei tempi antichi, nei giorni dei nostri antenati,  dove la speranza incontrava i sogni,  e i nostri destini erano fratelli del fato... Io ricordo, io ricordo…”. Con queste parole declamate in inglese da una voce fuori campo il 15 marzo a Cinisello Balsamo, Milano, nell’ambito dell’evento “Togo meets Uganda” organizzata da “Radice d’Africa”, ha debuttato in Italia  ”DESCENDANTS” (Discendenti) la performance di danza contemporanea, danza afro tradizionale Acholi e di poesia ideata, prodotta e interpretata dal danzatore e maestro ugandese Kedwine Odoch in collaborazione con il poeta Joel Onen e prodotta dalla Watwero Dance-Company in collaborazione con Bagiu Benda Prómotions, Hussle Ground records e Amizero Kompagnie. La perfomance,  che l’artista cresciuto in Uganda e diplomatosi alla Ecole des Sable School of Dance di Dakar in Senegal sta portando in tour in Europa, è strutturata in due parti: la prima in cui il performer sotto un velo trasparente,   tenuto fermo da un cerchio di bambini ( i “discendenti” a cui è rivolto il messaggio), si  risveglia poco a poco dall’immobilità di un sonno o di una morte apparente  dando forma lentamente a una coreografia di danza contemporanea, mentre nell’aria risuona la voce e il monito di Joel Onen “Abbiamo perso il nostro passato per amore di un nuovo futuro. Le leggende del passato che avrebbero potuto plasmare i nostri figli non esistono più. Per favore, non sorridere dell’oscurità che minaccia l’Africa alla luce del giorno”; la  seconda parte,  in cui il protagonista,  liberatosi dal velo che lo rendeva cieco e prigioniero e dai sandali che da quel momento diventeranno un oggetto-simbolo,  riprende poco a poco  i controllo dei propri movimenti che assumono la forma, non a caso,  dalle danze ancestrali della tradizione “Acholi” ( che è anche il nome della lingua nativa e dell’etnia dell’autore interprete Kedwine Odoch). In questo percorso di presa di coscienza il protagonista “risvegliato”   riscopre l’uso di alcuni oggetti-simbolo: come dicevamo prima, i sandali, di un modello tramandato di generazione in generazione e di un materiale  totalmente eco-sostenibile da sempre, da molto prima che la devastazione dell’ecosistema africano rendesse la eco-sostenibilità l’opzione di pochi;   un  tam tam, perché il ritmo per la cultura africana è importante quanto il battito del proprio cuore; l’erba fresca, simbolo della medicina naturale e del legame con la natura che cura. E infine la metà di una zucca, strumento ritmico ma anche conca per dissetarsi. Questo percorso di rinascita non è per nulla sereno perché ogni risveglio presuppone qualcosa che non si può più tollerare. E infatti l’energia di questo risveglio, lo sforzo per ribellarsi e rinascere attraverso un lungo travaglio sono espressi da ogni movimento dell’artista  che è insieme potente e gentile, perché non è con la forza che si risponde alla forza, risoluto e morbido perché ci sono messaggi che vanno raccontati lentamente per farli capire bene. Ora è lui che ha preso la parola non serve più che il poeta  gli riveli la verità, è lui stesso a denunciarla: “I nostri antenati scambiati e schiavizzati  nelle nostre menti come se non esistessero. La colonizzazione della mente,  la desertificazione dell’anima, l’inimicizia con la natura,  il cambiamento climatico. Abbiamo dimenticato,  abbiamo completamente dimenticato chi è venuto prima di noi. Non ci chiediamo nemmeno chi è venuto prima di noi, come siamo arrivati ​​qui, come lasceremo questo posto?”. Questa ultima domanda raccoglie il significato di DESCENDANTS. Cosa lasceremo a chi verrà dopo di noi?  Una domanda che vale non solo per le tante popolazioni africane che, “interrotte” dal colonialismo,  devono recuperare valori e dignità per poterli tramandare alle nuove generazioni in Africa e, tramite la sua diaspora, in tutto il mondo; ma  vale anche per noi popoli dell’occidente a cui l’artista  dedica l’ultimo movimento di questa danza e offre la conca dell’acqua dove lui stesso ha bevuto  ad una componente del pubblico perché si disseti dalla sua stessa fonte. Nonostante tutta la parte parlata della performance fosse in inglese, l’intensità della interpretazione ha superato la barriera  linguistica e il pubblico ha colto perfettamente tutto il talento , l’originalità e la bellezza che questo artista cosi giovane è in grado di imprimere alla sua danza Che dire? Apwoyo matek adida che nella lingua madre di Kedwine Otoch vuol dire grazie mille.

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